Intelligenza artificiale e giornalismo: il tempo della consapevolezza

2 Luglio 2025 - 13:24
2 Luglio 2025 - 13:24
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Intelligenza artificiale e giornalismo: il tempo della consapevolezza

Un’indagine LUMSA-Ordine dei Giornalisti rivela aspettative, paure e necessità formative dei professionisti dell’informazione di fronte all’IA

L’intelligenza artificiale è entrata anche nelle redazioni, ma non ha ancora bussato con forza alla porta del giornalismo quotidiano. Al momento, è una presenza percepita, osservata, discussa. Quasi mai compresa fino in fondo. È quanto emerge dallo studio condotto dall’Università LUMSA in collaborazione con l’Ordine Nazionale dei Giornalisti, che ha coinvolto quasi mille professionisti e pubblicisti italiani. I dati raccontano molto più di una semplice fotografia tecnica: offrono uno spaccato di inquietudini, aspettative e urgenze.

Quasi otto giornalisti su dieci chiedono regole chiare e trasparenza nell’uso dell’IA. Eppure, nella pratica quotidiana, strumenti come traduttori automatici, generatori di immagini o software per il fact-checking restano ai margini. Si usano poco. Anche perché si conoscono poco. In media, i partecipanti allo studio dichiarano un livello di familiarità basso con questi strumenti. E chi li usa lo fa soprattutto per automatizzare operazioni semplici, come la traduzione di testi. Gli strumenti più sofisticati, come quelli per la generazione di suoni, video o contenuti visivi, sono ancora un territorio inesplorato per la maggior parte dei professionisti dell’informazione.

Non si tratta solo di una questione tecnologica. C’è una struttura, quella del giornalismo italiano, che rende tutto più fragile: redazioni piccole, contratti atipici, mancanza di tempo e risorse per investire in innovazione. Il 70% degli intervistati lavora in redazioni con meno di 10 giornalisti. Più della metà ha un inquadramento non stabile. In questo scenario, chiedere ai giornalisti di aggiornarsi sull’intelligenza artificiale significa, spesso, chiedere un investimento personale in assenza di reali percorsi strutturati. Eppure la volontà c’è: il 90% degli intervistati si dice interessato a corsi di formazione specifici. Segno che il problema non è la resistenza culturale, ma l’assenza di un’offerta formativa accessibile, aggiornata e ben costruita.

Lo studio mette anche a fuoco le ambivalenze del rapporto tra IA e giornalismo. Da una parte, il 63% dei giornalisti riconosce che l’IA può velocizzare la produzione dei contenuti e aiutare nella raccolta di informazioni. Dall’altra, il 50% teme che ne derivi una diminuzione della qualità, e un terzo è preoccupato per la diffusione di fake news. Solo uno su cinque ritiene che l’IA possa migliorare la verifica delle fonti. È un dato eloquente: la tecnologia non viene rigettata, ma non è ancora percepita come affidabile nelle aree centrali della professione, quelle in cui è in gioco la responsabilità dell’informazione.

Eppure, nonostante i timori, la direzione sembra tracciata. L’82% dei partecipanti afferma che il vero giornalista deve continuare a basarsi su inchieste, ricerca sul campo e verifica critica. Nessuno cede all’idea che l’intelligenza artificiale possa sostituire l’essere umano. Ma molti chiedono che il suo uso venga regolato. Non in un’ottica difensiva, ma per garantirne un impiego trasparente, responsabile, tracciabile. Un impiego che possa diventare uno strumento – e non un alibi – per rafforzare la qualità dell’informazione.

Questa ricerca, oltre a fornire dati, solleva una questione più profonda: quale tipo di giornalismo vogliamo costruire nei prossimi anni? La tecnologia da sola non è né una minaccia né una soluzione. È una leva. Spetta alla formazione, alle redazioni, alle istituzioni – ma anche a ciascun professionista – scegliere come usarla. Per questo serve uno sforzo collettivo, lungimirante, capace di tenere insieme innovazione e deontologia, algoritmi e senso critico. In gioco non c’è solo il futuro della professione giornalistica. C’è il diritto di tutti a essere informati in modo consapevole, corretto, libero. E questo – oggi più che mai – è un diritto che non può essere lasciato agli automatismi.