DeepSeek nel mirino: "trasferimento illegale di dati in Cina"

Chi l'avrebbe mai detto che un chatbot cinese lanciato appena pochi mesi fa sarebbe finito al centro di una battaglia diplomatica sui dati? Eppure è proprio quello che sta succedendo con DeepSeek, l'intelligenza artificiale che aveva promesso di rivoluzionare il settore con costi da capogiro... al ribasso.
La storia si fa interessante quando Meike Kamp, una funzionaria berlinese che di sicuro non le manda a dire, decide di passare dalle parole ai fatti. Venerdì scorso ha fatto quello che molti si aspettavano da tempo: ha denunciato formalmente DeepSeek ad Apple e Google, accusando l'azienda cinese di violare spudoratamente le leggi europee sulla privacy.
Un ultimatum che sa di déjà vu
"Il trasferimento dei dati degli utenti in Cina da parte di DeepSeek è illegale", ha dichiarato senza mezzi termini la Kamp. Non è esattamente una sorpresa, considerando che chiunque abbia una minima familiarità con il GDPR sapeva che prima o poi sarebbe successo.
Il bello è che l'ufficio tedesco aveva già provato la via diplomatica: avevano chiesto gentilmente a DeepSeek di mettersi in regola o, in alternativa, di togliere il disturbo dalla Germania. Risultato? Silenzio radio. Un comportamento che, francamente, non fa che confermare i sospetti di chi aveva storto il naso fin dall'inizio.
Il caso Italia: quando l'esempio viene da casa nostra
Se pensavate che la Germania fosse pioniera in questa battaglia, vi sbagliate. L'Italia aveva già mostrato i muscoli a gennaio, mandando a casa DeepSeek con tanto di comunicato ufficiale. E non è che fossero particolarmente sottili: il Garante per la protezione dei dati aveva praticamente sbattuto la porta in faccia all'azienda cinese.
Il motivo? DeepSeek aveva avuto il coraggio di rispondere alle autorità italiane che, sostanzialmente, le nostre leggi sulla privacy non li riguardavano. Una mossa che definire audace è un eufemismo.
I numeri che fanno paura
Ora, al di là delle questioni burocratiche, c'è un dato che dovrebbe far riflettere chiunque abbia mai chattato con questa AI: gli studi di sicurezza non sono incoraggianti. Parliamo di un modello che ha 11 volte più probabilità di elaborare contenuti dannosi rispetto alla concorrenza. Non proprio quello che vorresti dal tuo assistente digitale.
E se questo non bastasse, il 78% dei test di cybersecurity è riuscito a fregare DeepSeek-R1, convincendolo a generare di tutto: malware, trojan, exploit vari. Insomma, un parco giochi per chiunque abbia cattive intenzioni.
La promessa (troppo) bella per essere vera
Ricordate l'entusiasmo di gennaio? DeepSeek aveva fatto il giro del mondo promettendo risultati da fantascienza a prezzi da discount. Il classico "troppo bello per essere vero" che, a quanto pare, era davvero troppo bello per essere vero.
Non che l'innovazione cinese non sia da prendere sul serio – anzi. Ma quando un'azienda promette la luna a un decimo del prezzo, forse è il caso di leggere le clausole scritte in piccolo. E quelle clausole, in questo caso, sembrano essere scritte in caratteri microscopici.
Il dilemma del consumatore moderno
Ecco il punto che rende tutta questa storia particolarmente attuale: da una parte abbiamo la tentazione di tecnologie innovative e apparentemente economiche, dall'altra la protezione dei nostri dati più personali. È il classico dilemma dell'era digitale, reso ancora più complesso dal fatto che spesso non sappiamo nemmeno cosa stiamo perdendo.
Le leggi cinesi sono chiarissime: se i tuoi dati finiscono su server cinesi, le agenzie di intelligence locali possono accedervi senza troppi complimenti. Non è una questione di paranoia, è semplicemente come funziona il sistema legale di quel Paese.
Cosa succede ora?
La palla ora è nel campo di Apple e Google. Due aziende che, va detto, non sono esattamente note per prendere decisioni affrettate quando si tratta dei loro store. Dovranno esaminare le accuse tedesche e decidere se DeepSeek merita di restare o se è arrivato il momento di fare le valigie.
Nel frattempo, per chi usa ancora DeepSeek, forse è il caso di chiedersi se quella chat divertente vale davvero il rischio di vedere i propri dati fare un viaggio di sola andata verso Pechino. Perché, alla fine, di assistenti AI ne esistono parecchi altri che non hanno questo piccolo problema di compliance con le leggi europee.
La vicenda DeepSeek ci ricorda una verità scomoda: nell'era dell'intelligenza artificiale, il prezzo più basso potrebbe costare molto più di quanto immaginiamo.