La medicina sta cambiando più velocemente di quanto riescano a cambiare le sue aule. E mentre Adtalem Global Education e Google Cloud si preparano a lanciare, nel 2026, un programma di certificazione in intelligenza artificiale dedicato ai professionisti sanitari, il dibattito sulla formazione medica del futuro si fa sempre più urgente. L’obiettivo è costruire un nuovo equilibrio tra sapere clinico, tecnologia e responsabilità etica. Ma l’Italia è pronta a raccogliere questa sfida?
Su questo tema interviene il professor Calogero Cammà, docente dell’Università degli Studi di Palermo, ordinario di Medicina Interna, direttore dell’UOC di Gastroenterologia ed Epatologia del Policlinico “Paolo Giaccone” e delegato del Rettore per le Scuole di Specializzazione dell’area sanitaria e coordina la cabina di regia sull’intelligenza artificiale dell’Ateneo.
Professore, la partnership tra Adtalem Global Education e Google Cloud segna un punto di svolta nella formazione sanitaria orientata all'intelligenza artificiale. Pensa che in Italia il sistema universitario e sanitario sia pronto a recepire un modello simile, anche alla luce delle differenze normative e organizzative con gli Stati Uniti?
"L'Italia non è ancora pronta. I programmi universitari in Medicina sono rimasti sostanzialmente immutati da decenni. L'intelligenza artificiale e le competenze digitali sono ancora considerate materie accessorie, non fondamentali. Manca una revisione profonda dei contenuti didattici. Dal punto di vista organizzativo, il nostro sistema sanitario è frammentato, con infrastrutture tecnologiche obsolete e non interoperabili. Serve una riforma sistemica, sia dei programmi universitari sia dell'infrastruttura tecnologica del SSN".
Secondo lei, quali competenze dovrebbero diventare fondamentali per i futuri professionisti sanitari nell'era dell'intelligenza artificiale, al pari delle linee guida cliniche o della comunicazione empatica con il paziente?
"Le competenze chiave dovrebbero includere l'alfabetizzazione digitale avanzata. Ossia comprendere come funzionano gli algoritmi, valutare l'affidabilità dei sistemi di IA e riconoscere i loro limiti. Serve formazione specifica sulla gestione dei dati sanitari, sulla sicurezza informatica e sulla comunicazione trasparente con i pazienti. Fondamentale resta rafforzare le competenze umane: empatia, ragionamento clinico critico e capacità decisionale. L'IA deve essere uno strumento al servizio del medico, non un sostituto del suo giudizio".
Molti operatori sanitari temono che l'intelligenza artificiale possa sostituire parte del loro lavoro. Come può la formazione contribuire a trasformare questa paura in consapevolezza e fiducia nella tecnologia?
"La formazione deve partire dalla trasparenza, quindi mostrare concretamente cosa può e non può fare l'IA, chiarendo che è progettata per alleggerire compiti ripetitivi e liberare tempo per l'attività clinica che richiede empatia ed esperienza. L'approccio vincente è la formazione pratica, far sperimentare agli operatori in contesti supervisionati l'uso di strumenti di IA. Serve un cambio culturale, l'aggiornamento tecnologico deve diventare una competenza professionale riconosciuta e valorizzata".
In un contesto sanitario già sotto pressione, con carenze di personale e crescente burocrazia, come si può introdurre la formazione sull'intelligenza artificiale senza aumentare il carico di lavoro dei professionisti?
"La chiave è rendere la formazione modulare, flessibile e integrabile nel flusso di lavoro quotidiano. Servono percorsi brevi e mirati, che portino benefici immediati e tangibili. La formazione sull'IA deve entrare nei crediti ECM ed essere valorizzata nelle progressioni di carriera. Serve anche supporto organizzativo: assistenza tecnica, tutor dedicati, comunità di pratica per il confronto. La formazione non può essere lasciata alla buona volontà del singolo, ma deve essere parte di una strategia organizzativa complessiva".
Le applicazioni dell'intelligenza artificiale stanno già emergendo nella diagnostica per immagini e nella gestione dei dati clinici. Quali sono, a suo avviso, le aree più promettenti e quelle che invece richiedono maggiore cautela o regolamentazione?
"Le aree più promettenti sono la diagnostica per immagini (radiologia, anatomia patologica), la medicina di precisione, la gestione dei dati sanitari e il supporto decisionale. Le aree che richiedono cautela sono quelle dove l'errore ha conseguenze critiche, quindi prescrizione autonoma di farmaci, decisioni di fine vita, psichiatria, e contesti dove l'IA potrebbe amplificare disuguaglianze".
Etica, trasparenza e protezione dei dati sono i tre pilastri di un uso responsabile dell'intelligenza artificiale. L'Italia dispone oggi di un quadro normativo e formativo adeguato per garantire la sicurezza dei pazienti e la tutela dei professionisti?
"Dal punto di vista normativo, l'Italia ha fatto progressi significativi. Tuttavia, restano ancora non del tutto chiare quali saranno le fonti e le entità di finanziamento, sia a livello regionale che nazionale. In ritardo, da questo punto di vista, è il raggiungimento di alcuni obiettivi che diversi progetti PNRR si erano posti".
Guardando al futuro, come immagina l'evoluzione della formazione in ambito sanitario nei prossimi dieci anni? Crede che l'intelligenza artificiale e le tecnologie digitali porteranno a una trasformazione radicale dei percorsi universitari e di aggiornamento professionale, o piuttosto a un'integrazione graduale tra sapere clinico tradizionale e nuove competenze digitali?
"Assisteremo a un'integrazione profonda e gli ospedali si divideranno tra quelli che sapranno accogliere la novità, investendo in tecnologia e formazione del personale, e quelli che resteranno indietro, incapaci di adattarsi al cambiamento. Questa divisione non riguarderà solo le strutture tecnologiche, ma soprattutto la cultura organizzativa e la preparazione dei professionisti. Serve una regia nazionale forte, investimenti strutturali e una visione strategica condivisa, altrimenti le disuguaglianze formative si tradurranno in disuguaglianze drammatiche nell'assistenza ai pazienti".
Negli ultimi anni la formazione sanitaria si è aperta sempre più alla didattica a distanza e ai modelli telematici. Quali sono, secondo lei, i principali vantaggi e rischi di questa trasformazione sul piano umano? Crede che il contatto diretto con docenti e pazienti resti un elemento insostituibile, o che le nuove modalità digitali possano garantire comunque la stessa qualità formativa ed empatica?
"I vantaggi sono accessibilità, flessibilità e scalabilità. Le tecnologie digitali permettono simulazioni e casi clinici interattivi. I rischi sono la perdita della dimensione relazionale e l'isolamento. La medicina si basa sulla capacità di entrare in empatia con il paziente, competenze che si imparano al letto del malato, nel confronto diretto. Un medico formato solo online rischia di essere tecnicamente preparato ma emotivamente immaturo. La didattica a distanza è uno strumento potente, ma deve restare complementare. Il tirocinio clinico e la relazione con il paziente restano insostituibili".
E per quanto riguarda l'Università di Palermo, come si sta muovendo il vostro Ateneo in questo campo? Esistono progetti o corsi dedicati all'intelligenza artificiale applicata alla sanità, o iniziative che mirano a preparare le nuove generazioni di medici e ricercatori a questa trasformazione digitale?
"L'intelligenza artificiale è un tema centrale per l'attuale Rettore dell'Università di Palermo, il Prof. Massimo Midiri. Abbiamo condotto una survey approfondita sugli studenti per comprendere il loro livello di conoscenza e le loro aspettative sull'IA in ambito formativo: i risultati sono in corso di sottomissione per pubblicazione scientifica.
Un'iniziativa particolarmente significativa è stata la recente "Notte Bianca della Metodologia – Dal Big Bang a ChatGPT", un'intera notte dedicata insieme agli studenti all'intelligenza artificiale e alla metodologia della ricerca. Un evento che ha dimostrato l'enorme interesse e la voglia di approfondire questi temi da parte delle nuove generazioni. Stiamo lavorando per tradurre questo entusiasmo in un'offerta formativa strutturata, con moduli dedicati all'IA nei corsi di laurea dell'area sanitaria, ma serve un salto di qualità in termini di investimenti, docenti formati e infrastrutture digitali adeguate".