L’intelligenza artificiale si arrende di fronte a quella umana: Klarna cambia rotta e torna ad assumere.

Il CEO di Klarna, Sebastian Siemiatkowski, ha annunciato il ritorno degli operatori umani nel servizio clienti, ammettendo che i chatbot, nonostante la loro efficienza, hanno peggiorato la qualità del servizio.
L’IA gestiva due terzi delle chat e risolveva problemi rapidamente, ma i clienti si sono trovati di fronte a informazioni errate, una mancanza di empatia e difficoltà nel passaggio tra assistente virtuale e operatore reale. Le lamentele hanno evidenziato conversazioni frustranti, ripetitive e spesso circolari, con un’esperienza utente nettamente inferiore rispetto a un’assistenza completamente umana.
Siemiatkowski ha riconosciuto che il risparmio ottenuto con l’IA ha compromesso la soddisfazione dei clienti, portando l’azienda a reinvestire nell’intelligenza umana. "L’empatia, la comprensione di situazioni complesse e la capacità di adattamento restano qualità uniche delle persone", ha sottolineato il CEO.
Dove l’IA (per ora) non arriva
Questo caso dimostra che, sebbene l’IA sia straordinaria per compiti ripetitivi, fallisce dove servono intelligenza emotiva, contesto e problem-solving avanzato. La capacità di gestire situazioni sensibili, offrire supporto personalizzato e garantire coerenza nelle interazioni rimane, almeno per il momento, un vantaggio esclusivamente umano.
Ma Klarna non è l’unica a fare marcia indietro. Nel 2025, il 42% delle aziende ha abbandonato gran parte dei progetti di IA, con un tasso di fallimento che raggiunge il 70-85% nei progetti di IA generativa. Tra le cause principali ci sono dati di scarsa qualità, costi elevati, rischi sottovalutati e mancanza di competenze interne.
L’IA non è una bacchetta magica – è uno strumento potente ma ancora lontano dall’essere autonomo. Ha bisogno di supervisione, integrazione con il fattore umano e una chiara strategia aziendale. Per ora, la partita si gioca ancora sul campo dell’intelligenza umana.