Quando la Generazione Z confida i problemi di cuore all’intelligenza artificiale

Il 49% dei giovani chiede consigli amorosi a ChatGPT. OpenAI prepara controlli per minori, ma l’IA diventa interlocutore emotivo e solleva interrogativi su empatia, privacy e solitudine digitale.

Immagine generata con AI
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3 min di lettura

La Generazione Z non parla più soltanto con gli amici o con i genitori quando ha un dubbio sentimentale. Sempre più spesso, lo fa con ChatGPT. Non per gioco, ma per cercare conforto, consigli, risposte.
Secondo il 14° Singles in America del Kinsey Institute, quasi la metà dei giovani intervistati ha ammesso di usare un assistente virtuale per affrontare i propri problemi di cuore. Domande intime, fragili, umane: «Come faccio a lasciarlo senza ferirlo?», «Perché non mi ascolta?», «Come capisco se mi ama davvero?».

Non si tratta più soltanto di curiosità tecnologica, è il segno di un cambiamento profondo nei rapporti affettivi, in cui l’intelligenza artificiale diventa interlocutore emotivo.
Il 44% dei ragazzi la usa per filtrare potenziali partner, il 26% per gestire meglio gli appuntamenti e il 10% persino per scrivere il primo messaggio. ChatGPT diventa così una specie di “consulente digitale del cuore”, capace di offrire parole rassicuranti, modelli di comportamento, suggerimenti su come reagire di fronte al silenzio o al rifiuto.

Ma dietro l’efficienza dell’algoritmo si nasconde una domanda più inquieta, può l’IA comprendere davvero l’emozione?
I giovani che la interrogano cercano empatia, ma ottengono solo una sua simulazione, ricevono risposte calibrate sul linguaggio umano, non sulla vita reale, è un conforto immediato, privo però della complessità che caratterizza i sentimenti autentici.
Il rischio, sottile ma concreto, è che l’intelligenza artificiale diventi una forma di intimità senza reciprocità, un luogo dove ci si sente ascoltati, ma mai davvero capiti.

La questione non è solo psicologica, è anche etica e culturale.
OpenAI, consapevole del fenomeno, ha annunciato nuovi strumenti di parental control per i più giovani, limiti d’età, collegamento tra account genitore-figlio, controllo della cronologia e notifiche in caso di interazioni problematiche, l’obiettivo è proteggere gli adolescenti da un uso eccessivo o inappropriato.
Un’iniziativa necessaria, ma ancora parziale, se da un lato tutela, dall’altro apre interrogativi sul diritto alla riservatezza emotiva dei ragazzi e sulla trasparenza dei dati raccolti nelle conversazioni più personali.

La realtà è che la Generazione Z sta vivendo un passaggio inedito, l’amore mediato dalla macchina.
In un mondo dove tutto è connesso, anche i sentimenti si digitalizzano, l’IA diventa specchio e filtro, consigliere e complice. E se da una parte può insegnare il linguaggio dell’ascolto e della gentilezza, dall’altra rischia di appiattire la complessità dei rapporti umani, riducendo la vulnerabilità – e quindi la verità – delle relazioni.

In fondo, non è colpa della tecnologia, è il modo in cui la usiamo a determinare la distanza tra empatia e illusione.
La Generazione Z, più di ogni altra, si trova davanti a un bivio, imparare a dialogare con l’IA senza smettere di parlare tra loro, perché nessun algoritmo, per quanto sofisticato, saprà mai restituire il silenzio pieno di un abbraccio o la fragilità di un “ti penso” detto sottovoce.

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