Santi e algoritmi, può un’intelligenza artificiale comprendere la santità?

Con il Conclave chiuso per eleggere il nuovo Papa, affiorano delle curiosità, sopratutto quando si parla di sacro, lo sappiamo tutti che la santità è sempre stata un mistero. Un’emanazione che sfugge alle definizioni rigide, un percorso di vita fatto di abnegazione, visioni, cadute e risalite. Oggi, però, questa traiettoria ancestrale si scontra con un interlocutore inedito, l’intelligenza artificiale.

Cosa accade se chiediamo a una macchina di identificare un santo? Se proviamo a fargli elaborare un profilo partendo da dati biografici, azioni, parole, contesto storico? E ancora, quali parametri dovrebbe usare per distinguere un beato da un influencer spirituale?

ChatGPT e sistemi simili possono analizzare milioni di documenti in pochi secondi, confrontare testi sacri, confronti dottrinali, comportamenti morali. Possono ordinare per parole chiave come carità, martirio, preghiera, miracolo. Ma ciò che manca, forse, è proprio l’elemento essenziale della santità, la grazia.

Il riconoscimento dei santi, nella tradizione cattolica, è un processo lungo, carico di discernimento e prudenza. L’intuizione umana del sacro, quella capacità di leggere oltre il gesto e cogliere l’aura del bene, non è facilmente codificabile.

Eppure, l’AI può diventare uno strumento di memoria, utile per non dimenticare storie, contesti, testimonianze. Può supportare, ma non sostituire.

In un mondo dove tutto tende ad essere classificato, valutato, previsto, la santità rimane un atto sovversivo, difficile da misurare.

E questa è forse la sua forza. Perché l’AI, per quanto evoluta, si muove nel regno del verosimile. Ma il santo, da sempre, appartiene a quello del possibile impossibile.

E se mai un giorno un algoritmo riconoscerà un santo, sarà forse perché qualcuno avrà insegnato alla macchina a distinguere l’umiltà vera dal marketing del bene. Ma fino ad allora, il silenzio di una preghiera inascoltata dirà più di mille dataset.