SIAE lancia l’allarme, entro il 2028 l’AI potrebbe bruciare 22 miliardi di euro al settore culturale

Salvatore Nastasi ha scelto parole nette, e non è un caso. Il presidente della SIAE ha lanciato un allarme che non passa inosservato, entro il 2028, l’industria culturale potrebbe perdere 22 miliardi di euro. Una cifra enorme, che fa tremare i pilastri della creatività, messi oggi sotto scacco da un’onda tecnologica che non conosce soste: l’intelligenza artificiale.
Non si parla più solo di suggestioni futuristiche, ma di una realtà già in atto. L’IA scrive, compone, disegna. E lo fa velocemente, con una precisione che spaventa e affascina.
Ma mentre le macchine imparano, chi ha creato davvero, chi ha scritto libri, suonato strumenti, montato film o illustrato mondi, rischia di essere cancellato dal conto.
Secondo Nastasi, la questione è semplice e inquietante, le piattaforme tecnologiche stanno addestrando i loro modelli su milioni di opere esistenti, spesso senza chiedere il permesso e senza riconoscere un solo centesimo a chi quelle opere le ha prodotte.
Il risultato? Un’intera filiera, fatta di autori, artisti, tecnici e piccoli produttori, viene risucchiata in un silenzio economico, dove a guadagnare sono solo le grandi multinazionali dell’algoritmo.
La perdita stimata non è solo una questione di numeri. Ventidue miliardi in meno significano meno dischi, meno libri, meno teatro. Meno possibilità per chi sogna di vivere creando, e più spazio a un sistema che produce contenuti invece che opere.
E in questo cambiamento, silenzioso ma profondo, si rischia di smarrire il senso stesso di ciò che chiamiamo cultura.
Nastasi non parla da nostalgico, né da tecnofobo. Anzi, riconosce il valore delle nuove tecnologie, ma chiede una cosa chiara, regole. Serve trasparenza su come vengono utilizzate le opere nei modelli generativi. Serve che ogni utilizzo sia tracciabile, che ogni autore sia riconosciuto e che esista una forma di compenso. Serve, in poche parole, un nuovo patto tra creatività e tecnologia, dove l’intelligenza artificiale non diventi una scorciatoia a costo zero, ma uno strumento di crescita condivisa.
Il tempo stringe. L’industria culturale, già fragile, non può permettersi di subire passivamente questa trasformazione.
Le scelte che si faranno oggi definiranno non solo il futuro economico di migliaia di lavoratori, ma anche la qualità della nostra immaginazione collettiva.
Perché se è vero che le macchine sanno generare testi, melodie e immagini, è altrettanto vero che l’anima, quella che vibra sotto ogni parola scritta o nota suonata, resta una faccenda umana.
E quella, finché ci sarà, dovrà essere riconosciuta.
E pagata.