La rivoluzionaria idea di "ricarica" di Argonne National Laboratory è quella di dare le “pillole” alle batterie. Non si tratta ovviamente di farmaci, ma di additivi chimici che, se scelti con cura, possono migliorare in modo significativo le loro prestazioni.
I ricercatori hanno messo a punto la scoperta grazie all'addestramento di un modello di machine learning. Cominciando da un piccolo archivio di dati, il sistema è riuscito a prevedere combinazioni chimiche che avrebbero richiesto mesi di test in laboratorio. Invece di aspettare quattro o sei mesi, l’IA ha accorciato i tempi a poche simulazioni virtuali.
«Trovare la giusta prescrizione grazie al machine learning significa garantire batterie più efficienti e durature» hanno dichiarato gli scienziati. E i numeri danno loro ragione: con soli 28 additivi di partenza, il modello ha saputo prevedere le prestazioni di 125 nuove varianti, un salto in avanti notevole per la ricerca.
Per Hieu Doan, scienziato computazionale del team, questa è anche una piccola rivoluzione di metodo: «Siamo abituati a pensare che servano grandi quantità di dati per allenare un modello, ma non è così. Serve piuttosto un dataset ben fatto, costruito con criterio».
La sperimentazione si è concentrata sulle batterie LNMO, composte da litio, nichel, manganese e ossigeno. Sono batterie promettenti perché offrono più energia e, soprattutto, non hanno bisogno di cobalto, materiale sempre più costoso e difficile da reperire. Ma c’è un ostacolo non da poco: queste celle lavorano a una tensione di quasi 5 volt, oltre il limite di stabilità degli elettroliti oggi conosciuti.
Come ha spiegato il chimico Chen Liao, «quando si superano i 4 volt tipici delle batterie degli smartphone, l’elettrolita e il catodo entrano in uno stato instabile che porta facilmente a decomposizione». La contromossa è usare additivi per proteggere gli elettrodi. Se funzionano, nei primi cicli si decompongono creando una barriera stabile che riduce resistenza e degrado.
Fino a ieri, scegliere l’additivo giusto richiedeva un lavoro lungo e complesso, quasi da alchimisti. Con il machine learning, invece, si possono mettere in relazione la struttura chimica delle molecole e il loro effetto reale sulle prestazioni. Così il modello ha imparato a riconoscere i tratti che rendono una molecola più o meno efficace e li ha testati su nuove possibilità.
«È un po’ come osservare e fare inferenze. - Ha spiegato Doan- Una volta che hai i descrittori giusti delle molecole, puoi trasformarli in previsioni affidabili».
Al di là dei dettagli tecnici, la vera novità è che questa ricerca mostra quanto l’intelligenza artificiale possa accelerare la chimica dei materiali. Non sostituisce i ricercatori, ma li affianca, togliendo dal tavolo mesi di esperimenti preliminari e lasciando più spazio alla parte creativa e alla verifica pratica.
Quello che fino a pochi anni fa sembrava fantascienza – computer che trovano “ricette” per batterie più resistenti e durature – oggi è realtà e non è difficile immaginare come la stessa logica possa cambiare altri settori della scienza dei materiali.