Anthropic vince la battaglia legale contro gli scrittori: l'AI può "leggere" i libri per imparare

Una sentenza storica ridefinisce i confini tra intelligenza artificiale e copyright
Provate a immaginarvi nei panni di uno scrittore: avete curato ogni singolo aspetto del vostro libro e scoprite che un computer ha "letto" il vostro romanzo non per puro diletto personale ma per imparare a scrivere come voi. Certamente non è una cosa piacevole e sono sicuro che vi arrabbiereste. Beh, è esattamente quello che è capitato a tre autori americani che hanno portato in tribunale Anthropic, l'azienda dietro Claude, uno dei chatbot più avanzati al mondo.
Eppure, un giudice federale di San Francisco ha dato ragione all'azienda tecnologica, scrivendo una pagina di storia nel rapporto tra intelligenza artificiale e proprietà intellettuale. Il giudice William Alsup ha stabilito che quando Anthropic ha utilizzato i libri di Andrea Bartz, Charles Graeber e Kirk Wallace Johnson per addestrare Claude, stava facendo un uso legittimo del materiale protetto da copyright.
La decisione rappresenta una vittoria significativa per tutto il settore tech, che da mesi combatte battaglie legali simili su più fronti. Non è solo Anthropic a trovarsi nel mirino: anche giganti come OpenAI, Microsoft e Meta stanno affrontando cause analoghe intentate da scrittori, giornalisti e altri creatori di contenuti.
Fair use
Ma cosa significa davvero questa sentenza? Tutto ruota attorno al concetto di "fair use", una dottrina assolutamente legale in America che permette l'utilizzo, in questo caso, di opere protette da copyright per l'addestramento delle Intelligenze Artificiali. Con lo stesso principio noi possiamo citare un brano di un libro in una recensione o utilizzare spezzoni di film in un documentario.
Il giudice Alsup ha trovato particolarmente convincente l'argomentazione di Anthropic secondo cui il loro sistema non copia i libri per riprodurli, ma li "studia" per estrarre informazioni non soggette a copyright e creare qualcosa di completamente nuovo. "Come qualsiasi lettore che aspira a diventare scrittore", ha scritto il giudice nella sua sentenza, "i modelli linguistici di Anthropic si sono addestrati sulle opere non per correre avanti e replicarle o sostituirle, ma per svoltare decisamente e creare qualcosa di diverso".
È un paragone affascinante che solleva domande profonde su cosa significhi davvero "leggere" e "imparare". Quando noi leggiamo un libro, assorbiamo inconsciamente stili, strutture narrative, modi di esprimersi. Non è forse questo quello che fa anche un'intelligenza artificiale, solo su scala molto più grande, ma soprattutto più veloce?
Gli autori, comprensibilmente, la vedono diversamente. Secondo loro, queste aziende stanno sostanzialmente rubando il loro lavoro per creare tecnologie che potrebbero un giorno rimpiazzarli. È una preoccupazione legittima in un'epoca in cui l'AI può già produrre testi sempre più sofisticati e convincenti.
Anthropic, dal canto suo, ha sostenuto che la legge americana sul copyright "non solo permette, ma incoraggia" questo tipo di addestramento perché promuove la creatività umana. L'azienda, sostenuta da colossi come Amazon e Alphabet, ha descritto il suo processo come rivoluzionario: i sistemi copiano i libri per "studiare la scrittura degli autori, estrarre informazioni non soggette a copyright e utilizzare quello che hanno imparato per creare tecnologia rivoluzionaria".
Ancora lontani da una vittoria piena
Tuttavia, la vittoria di Anthropic non è stata totale. Il giudice ha infatti stabilito che conservare i libri degli autori in una "biblioteca centrale" viola i loro diritti d'autore e non rientra nel fair use. È una distinzione sottile ma importante: una cosa è analizzare un'opera per imparare da essa, un'altra è archiviarla in modo indefinito.
Paralisi dell'IA o rimpiazzo dell'artista?
Le aziende tech sostengono che essere costrette a pagare i detentori dei diritti d'autore per ogni contenuto utilizzato nell'addestramento potrebbe paralizzare lo sviluppo dell'AI. Ma se da un lato si pensa che il progresso possa essere fermato, dall'altro abbiamo i creatori e gli artisti che temono che il loro lavoro venga svalutato e che possano essere sostituiti dalle macchine che hanno imparato proprio grazie alle loro opere.
La decisione del giudice Alsup è la prima ad affrontare direttamente la questione del fair use nel contesto dell'AI generativa, rendendola un precedente importante per i casi futuri. In questo caso si è trattato di una class action in piena regola. Ricordiamo però che altri tribunali potrebbero arrivare a conclusioni diverse. Purtroppo l'intelligenza artificiale è ben lungi dall'essere classificata come scienza esatta.
In conclusione...
Stiamo assistendo a un momento di trasformazione storica. L'intelligenza artificiale sta ridisegnando i confini di cosa significhi creare, imparare e possedere la conoscenza. E mentre i tribunali decidono dove tracciare le linee, il resto di noi si trova a navigare in un mondo dove la distinzione tra intelligenza umana e artificiale diventa sempre più sfumata. La sentenza di San Francisco potrebbe aver dato una direzione pionieristica, ma il dibattito è solo agli inizi, e le sue implicazioni andranno ben oltre il mondo della tecnologia, toccando il cuore stesso di come concepiamo la creatività e l'innovazione nell'era digitale.