Hollywood alza il muro contro l’AI cinese

Hollywood porta in tribunale MiniMax. Al centro del caso Hailuo AI, gli output su IP iconiche e l’uso promozionale delle immagini. Tra diritto d’autore, fair use e geopolitica, si decide il futuro dei contenuti generati.

Immagine generata con AI
Immagine generata con AI
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Hollywood ha scelto la via del tribunale. Disney, NBCUniversal e Warner Bros. Discovery hanno avviato un’azione legale contro MiniMax, unicorno dell’AI con sede a Shanghai e sviluppatore di Hailuo AI. Il cuore dell’accusa è netto, l’app genererebbe immagini e video scaricabili che riproducono IP iconiche e ne avrebbe persino fatto materiale promozionale.

L’industria dell’intrattenimento non contesta solo un output scomodo, ma la logica commerciale che lo sostiene.

È il primo contenzioso di questo peso che coinvolge un operatore cinese dell’intelligenza artificiale e segna una svolta nei rapporti tra l’industria dell’intrattenimento e i laboratori tecnologici.

Se un modello generativo può imitare stili e universi narrativi consolidati trasformandoli in contenuti pronti all’uso, allora la catena di valore costruita in decenni rischia di essere messa in discussione. 

Le major parlano apertamente di una “voragine di plagio”, accusando MiniMax non solo di imitazione ma di capitalizzare su quell’imitazione.

La difesa della società cinese riprende argomenti già sentiti in altre cause, puntando sul concetto di fair use nell’addestramento dei modelli e sulla natura “trasformativa” degli output, ma gli studios ribattono che quando i risultati generati riproducono personaggi identificabili e vengono usati in chiave commerciale si oltrepassa qualsiasi confine.

La giurisprudenza americana è ancora in fase di assestamento, e questo caso potrebbe diventare un precedente di riferimento per tutte le controversie future.

La vicenda si intreccia con la geopolitica, MiniMax è sostenuta da investitori di primo piano come Alibaba, Hillhouse e HongShan, e si prepara alla quotazione in Borsa a Hong Kong. Per Hollywood questa azione non è solo difesa del copyright, ma un messaggio a livello globale, la proprietà intellettuale non conosce confini e deve essere rispettata anche dai colossi emergenti dell’AI asiatica. 

È un banco di prova che dirà se la Cina intende adattarsi agli standard occidentali o se i mercati dovranno convivere con due sistemi paralleli.

Il paradosso è evidente, le stesse major che oggi portano in tribunale MiniMax sono già impegnate a sperimentare l’AI in produzione, localizzazione, marketing e post-produzione, non si tratta di respingere la tecnologia, ma di fissare linee rosse chiare sull’uso delle opere protette e sulla trasparenza dei dataset.

La battaglia legale segna un passaggio cruciale, se gli studios riusciranno a imporre limiti, cambieranno non solo le pratiche di MiniMax, ma quelle di tutte le piattaforme che sviluppano e commercializzano sistemi generativi.

Il confronto non si esaurirà con una sentenza. L’esito influenzerà licenze di training, filtri sugli output, watermark e disclosure agli utenti. L’industria che ha creato il cinema dei franchise chiede che il diritto d’autore resti il perno del mercato.

I laboratori dell’AI rispondono che l’apprendimento dai dati è l’alfabeto del loro progresso. Nel mezzo c’è il pubblico, che chiede novità senza rinunciare alla fiducia.

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