L'apoteosi dell'improvvisazione digitale

1 Agosto 2025 - 15:55
1 Agosto 2025 - 16:08
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L'apoteosi dell'improvvisazione digitale

Mi trovo a Malta, una delle perle del Mediterraneo. Il cielo è terso, le mura giallo ocra di Mdina brillano sotto il sole, e il taxi che ho appena preso, assieme alla mia famiglia, parte spedito verso un giro turistico di quattro ore. Nulla di anomalo, se non fosse che la guida, in carne, ossa e volante, non sa nulla dei luoghi che visiteremo. Ma ha un’arma segreta: ChatGPT. Collega il telefono alla radio dell’auto, apre l’app e comincia a chiedere: “Tell me something about Dingli Cliffs.” “Where was the Azure Window before it collapsed?” La voce che ci accompagna, però, non è quella fluida di un assistente vocale ben allenato. È una voce inglese sintetica che legge malamente le risposte in italiano, con risultati a metà tra Stanlio e Ollio e l’assistente vocale della calcolatrice parlante. Ma funziona. Funziona davvero.

Il tassista non ha mai letto una guida turistica. Però, mentre guida, digita (malissimo) frasi come “cosa vedere vicino a Rabat Malta con bambini” e ottiene, in pochi secondi, un itinerario plausibile, con informazioni aggiornate e contestuali. Ogni luogo è introdotto da una voce robotica che arranca con i nomi propri e si impasta con le date, ma riesce comunque a trasmettere un contenuto strutturato. In alcuni casi, addirittura più ricco e personalizzato rispetto a certi tour guidati ufficiali.

È l’apoteosi dell’improvvisazione digitale. Eppure, riflettendoci bene, è anche una fotografia potente di questo momento storico.

Questa esperienza, surreale, grottesca e, al tempo stesso, perfettamente logica, racconta una verità fondamentale: non è necessario comprendere l’intelligenza artificiale per usarla.

Il tassista non sapeva cosa fosse un LLM, né aveva sentito parlare di prompt engineering. Eppure, con due dita e un po’ di fantasia, aveva creato una forma rudimentale di human-in-the-loop AI, dove l’umano pone le domande e l’IA costruisce la narrazione. La sua guida non era certificata, ma era generativa, istantanea, adattiva. Nessuna brochure prestampata, nessun copione ripetuto. Solo domande, risposte e una radio accesa.

E, mentre ridevo ascoltando la voce metallica che diceva “Il Cavaliere di San Giovanni fu fondato nel millie-sei-cento-diciotto”, mi sono accorto che questa scena buffa conteneva un piccolo paradosso: l’informazione prodotta da un’IA, letta male da un sintetizzatore vocale e veicolata da un tassista senza competenze turistiche, riusciva comunque a soddisfare il nostro bisogno di conoscenza.

Viviamo in un mondo in cui l’autorità della fonte è spesso rimpiazzata dall’accessibilità della risposta. Non cerchiamo la verità, cerchiamo una verità che basti per il momento. Se poi la pronuncia è ridicola, pazienza. L’importante è che funzioni.

Ma questo non è un processo neutro, è un cambiamento culturale.

La guida-tassista è solo un esempio tra mille. Un esempio innocente, certo, ma che mostra con chiarezza come l’intelligenza artificiale stia diventando un nuovo filtro tra noi e il mondo, anche quando non ce ne accorgiamo.

Uscendo dal taxi, ho salutato il nostro autista con un misto di gratitudine e smarrimento. Gli ho lasciato una mancia generosa. In fondo, mi aveva dato più di un passaggio: mi aveva dato una lezione di futuro. Un futuro dove la voce guida, ma non sempre è umana. Dove il sapere è accessibile, ma non sempre comprensibile. Dove la tecnologia è potente, ma non sempre elegante. Un futuro che, piaccia o meno, è già in corsa.

E noi, se continueremo a chiamare “guida” chiunque sappia fare una domanda, saremo pronti a rimanere passeggeri.