IA e ansia: il legame inaspettato tra tecnologia e disagio psicologico

14 Aprile 2025 - 15:26
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IA e ansia: il legame inaspettato tra tecnologia e disagio psicologico
Foto di Anna Tarazevich

Il dibattito sull’intelligenza artificiale si concentra spesso sui rischi occupazionali o sull’efficienza, ma un aspetto meno esplorato emerge da una ricerca dell’Università di Reichman: l’impatto psicologico dell’IA sul benessere emotivo. Lo studio si chiama: It’s Scary to Use It, It’s Scary to Refuse It “È spaventoso usarla, è spaventoso rifiutarla: le dimensioni psicologiche dell’uso dell’AI”, e rivela come l’adozione di questa tecnologia possa generare forme di ansia, legate non solo al futuro del lavoro, ma alla percezione stessa dell’autonomia umana.

Due volti della stessa paura
Secondo i ricercatori, l’ansia scatenata dall’IA non è monolitica. Si articola in due dimensioni. La prima è l’ansia anticipatoria, alimentata dall’incertezza su cambiamenti radicali e improvvisi che l’intelligenza artificiale potrebbe portare in ambito professionale o sociale. Un esempio? L’idea che un algoritmo possa ridefinire interi processi aziendali senza preavviso, lasciando le persone disorientate. La seconda è l’ansia di annichilimento, radicata nel timore che l’IA possa minare l’identità umana, trasformandosi in una forza autonoma e incontrollabile.

La curva a U dell’ansia: il paradosso dell’uso moderato
Lo studio, condotto su 242 partecipanti di diverse età e background, ha evidenziato una relazione sorprendente: chi utilizza l’IA in modo equilibrato — né rifiutandola né abusandone — registra livelli di ansia significativamente più bassi. All’estremo opposto, chi evita del tutto la tecnologia o ne diventa dipendente sperimenta un disagio maggiore.

Per chi rifiuta l’IA, prevale l’ansia anticipatoria. La percezione dell’intelligenza artificiale come minaccia oscura e imprevedibile porta a evitarne l’uso, anche a costo di limitare le proprie opportunità. Chi, invece, delega all’IA ogni decisione sviluppa una dipendenza ansiosa: la paura di non poter agire senza il suo supporto, con il rischio concreto di sentirsi sostituiti o superati.

Oltre la tecnologia: la sfida è culturale
Le preoccupazioni emerse non si limitano alla sfera individuale. Molti partecipanti hanno espresso timori sulla privacy, sulla diffusione della disinformazione e sulla possibilità che l’IA evolva in direzioni impreviste, sfuggendo al controllo umano.

Per mitigare queste paure, i ricercatori suggeriscono due direttrici. La prima è educativa: comprendere come funziona l’IA, i suoi limiti tecnici e gli ambiti in cui eccelle, riduce l’alone di mistero che alimenta ansie irrazionali. La seconda è politica: servono regole etiche chiare per guidare lo sviluppo della tecnologia, evitando scenari privi di supervisione.

Il punto di equilibrio: né demonizzazione, né fede cieca
La lezione chiave dello studio è che l’IA non è né un mostro né una soluzione miracolosa. Utilizzarla con consapevolezza — sfruttandone i vantaggi senza cedere all’illusione dell’infallibilità — permette di trasformarla in un alleato.

Un esempio? Chi impiega strumenti di IA per automatizzare compiti ripetitivi, ma mantiene il controllo sulle decisioni critiche, non solo riduce il carico di lavoro, ma preserva il proprio senso di autonomia. È un approccio che richiede formazione, ma anche la volontà di ridefinire i confini tra uomo e macchina.

Verso un futuro (non troppo) ansioso
Il rapporto tra IA e benessere psicologico dipenderà da come affronteremo due sfide parallele: da un lato, sviluppare competenze digitali per interagire con la tecnologia senza subirla; dall’altro, costruire un quadro etico che ne indirizzi l’evoluzione. Perché se è vero che l’ansia è una risposta naturale all’ignoto, la conoscenza, unita a regole condivise, resta l’antidoto più potente.