Dall’Umanesimo all’algoritmo

23 Aprile 2025 - 10:52
23 Aprile 2025 - 11:02
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Dall’Umanesimo all’algoritmo
Immagine generata con intelligenza artificiale

L’uomo, stanco di affidarsi a divinità lontane, si è proclamato centro del mondo. È la rivoluzione dell’Umanesimo, che da Rousseau in poi ci ha resi padroni delle nostre scelte, giudici della nostra verità. Oggi, però, viviamo un paradosso: mentre crediamo ancora di essere al comando, un nuovo “dio” silenzioso sta plasmando le nostre decisioni. Si chiama algoritmo, e agisce come un guru invisibile, suggerendoci cosa comprare, cosa leggere, persino cosa pensare.

Siamo davvero ancora al centro?

La verità è che non siamo più astri solitari, ma piccole stelle in un universo di dati: l’infosfera. Qui, ogni nostro click, like o ricerca alimenta un sistema che ci studia, ci categorizza e ci restituisce contenuti “su misura”. Peccato che questa personalizzazione non sia frutto di un’analisi profonda della nostra unicità, come sognava Rousseau, ma di calcoli statistici. L’algoritmo preferisce ciò che è popolare, trending, conveniente. Risultato? Le nostre scelte si appiattiscono, e l’illusione di autonomia si dissolve.

XAI: la svolta (ma non per tutti allo stesso modo)

La speranza si chiama XAI (Explainable AI), la branca dell’IA che vuole rendere gli algoritmi trasparenti. L’idea è semplice: se capiamo come e perché un’IA ci suggerisce certe cose, possiamo riprendere il controllo. Ma c’è un problema: non esiste una spiegazione universale.

Uno sviluppatore vuole dettagli tecnici sul codice.

Un manager cerca insight sul processo decisionale.

Un utente comune ha bisogno di metafore intuitive, come grafici colorati o esempi concreti.

Ignorare queste differenze significa tradire lo scopo stesso della XAI. Ecco perché progetti come DoReMi puntano a creare spiegazioni “su misura”, basate sul contesto e sul profilo dell’utente.

Grafici, colori e il modello che ragiona come noi

I primi tentativi di rendere l’IA trasparente hanno scommesso sul visual design: grafici a barre per evidenziare i dati più influenti, mappe termiche per mostrare le tendenze. Strumenti utili, ma non sufficienti. Oggi, modelli come DeepSeek R1 provano a fare di più: selezionano dinamicamente i parametri rilevanti in base alla richiesta dell’utente, combinando trasparenza e personalizzazione.

Anche ChatGPT ha seguito la strada del ragionamento spiegato: se chiedete come ha ottenuto un risultato matematico, vi mostra i passaggi logici. È la tecnica della Chain of Thoughts, che trasforma l’IA da “scatola nera” a compagno di studio.

Perché la trasparenza è una questione di sopravvivenza (cognitiva)

Se non sappiamo come l’IA decide, diventiamo pedine di un gioco che non comprendiamo. La trasparenza non è solo etica: è l’unico modo per:

Costruire fiducia (non accettare passivamente le risposte).

Stimolare il pensiero critico (“perché mi sta suggerendo proprio questo?”).

Difendere la nostra unicità in un mondo che spinge verso l’omologazione.

La sfida: uomo vs. dataismo

Viviamo nell’era del dataismo, dove tutto si riduce a numeri. Ma la vera rivoluzione sarà umanizzare l’IA: renderla uno strumento che amplifica la nostra autonomia, non un oracolo che la sostituisce.

Vogliamo essere utenti consapevoli o follower inconsapevoli di un algoritmo? La risposta dipende da quanto riusciremo a pretendere (e costruire) trasparenza.