Intelligenza Artificiale tra tradizione e futuro, una riflessioni antropologiche ed etiche sul ruolo dell’umano

Cosa significa essere intelligenti?
La domanda, vecchia quanto l'uomo, oggi torna prepotente con l'avanzamento dell'Intelligenza Artificiale.
Ci troviamo in un'epoca di transizione, un territorio ibrido in cui l'IA sfida non solo le nostre capacità cognitive, ma anche la nostra percezione di cosa significhi essere umani.
L'errore di fondo, eppure, sta nell'accostare direttamente intelligenza umana e artificiale come se fossero due facce della stessa medaglia. Non lo sono. Un' AI può analizzare i dati con una rapidità inimmaginabile, ottimizzando i processi e persino simulare risposte apparentemente empatiche, ma rimane un prodotto dell'uomo.
La sua 'intelligenza' è derivata, modellata su input e algoritmi. Non c'è intuizione, non c'è esperienza vissuta, non c'è l'incertezza che spesso guida le migliori scoperte umane.
In questo confronto tra vecchio e nuovo, è fondamentale riflettere sulla direzione che stiamo prendendo. L'umanità ha sempre delegato il lavoro più gravoso alle macchine, ma questa è la prima volta che affidiamo loro anche il pensiero, o almeno una sua parte.
Se la stampa di Gutenberg ha democratizzato il sapere, e l'industria ha meccanizzato la produzione, l'Intelligenza Artificiale sta ridisegnando il concetto stesso di creatività e decisione.
Come evidenziato nella nota "Antiqua et Nova", pubblicata dal Dicastero per la Dottrina della Fede e dal Dicastero per la Cultura e l'Educazione, il dibattito sull'AI deve tenere conto della sua distinzione fondamentale rispetto all'intelligenza umana. La Chiesa, attraverso questo documento, sottolinea come l'IA, per quanto avanzata, resti un prodotto algoritmico e non possa sostituire l'intuizione e la capacità critica proprie dell'essere umano. Il rischio è quello di una delega eccessiva delle decisioni alle macchine, perdendo di vista il valore della responsabilità individuale e collettiva.
Il problema non è tanto nell'uso dell'AI, ma nella cecità con cui spesso la consideriamo superiore all'essere umano, dimenticando che la sua conoscenza è un riflesso delle nostre scelte. Ogni algoritmo porta con sé il peso delle decisioni di chi lo ha creato, con i suoi pregiudizi e limiti.
Quando un'AI ci restituisce un risultato, non sta 'pensando', sta replicando modelli, calcolando probabilità. Eppure, tendiamo ad accettare la sua risposta come oggettiva, dimenticando che è sempre il frutto di una catena di decisioni umane.
Ecco il punto etico più spinoso: fino a che punto siamo disposti a cedere la nostra autonomia intellettuale? Se affidiamo all'IA la selezione delle informazioni, la scrittura di contenuti, la gestione delle nostre vite digitali, rischiamo di spegnere quel pensiero critico che ci ha portato fin qui.
La nota "Antiqua et Nova" invita a trovare un equilibrio tra innovazione tecnologica e valori umani fondamentali, promuovendo un uso consapevole dell'IA che non svilisca il pensiero umano, ma lo rafforzi.
Il nuovo non dovrebbe mai cancellare il vecchio, ma dovrebbe farne tesoro, con alle spalle un bagaglio culturale e umano per migliroarsi.
L'Intelligenza Artificiale può essere uno strumento straordinario, ma solo se manteniamo saldo il controllo del suo utilizzo. Il futuro non appartiene all'IA, appartiene a chi saprà usarla senza smettere di essere umano.