Posti di lavoro persi o posti di lavoro guadagnati, cosa ci riserva il futuro?

Il lavoro sta cambiando, e lo sappiamo tutti.
Automazione, intelligenza artificiale... non sono più cose da film di fantascienza, sono qui e stanno rivoluzionando tutto.
Entro il 2030, ci dice McKinsey, queste tecnologie saranno ovunque, cambieranno il modo in cui lavoriamo, ma anche il nostro modo di vivere. E no, non è solo una questione tecnologica: è una trasformazione sociale vera e propria, con tutte le sue luci e ombre.
Alcuni settori cresceranno, inutile negarlo, sanità, tecnologia, ingegneria, scienza.
Ma altri? Tipo il lavoro d’ufficio, le linee di produzione, l’assistenza clienti? Beh, molti di quei ruoli rischiano di sparire. Perché? Perché le macchine, in molte cose, saranno più veloci, precise, economiche.
McKinsey dice che fino al 70% delle attività lavorative attuali potrebbe essere automatizzato. Facciamoci una domanda: che ne sarà delle persone che oggi fanno proprio quei lavori?
La risposta non è piacevole, dovremo reinventarci. E no, non è una bella frase motivazionale: è un dato di fatto.
Formazione, supporto, tempo, servirà tutto questo per adattarsi. Ma siamo pronti a dare alle persone gli strumenti per farlo? I lavoratori a basso reddito, quelli con poche competenze, cosa faranno? Resteranno indietro o qualcuno se ne occuperà davvero?
E le aziende? Anche loro dovranno cambiare marcia, perché non adattarsi vuol dire rimanere al palo. Significa rivedere risorse, semplificare processi, capire chi mettere dove e, soprattutto, valorizzare le persone. Però diciamolo: quante aziende hanno una visione chiara di quello che sta per succedere?
E poi ci siamo noi.
Con le nostre paure, i nostri limiti, la nostra umanità. Cambiare fa paura, è normale. Non sarà una passeggiata, e gli errori li faremo, eccome. Ma non è questo il punto.
Il punto è, come rispondiamo, sbagliamo, impariamo, riproviamo.
Alla fine, il futuro del lavoro non sarà deciso dalle macchine, ma da come noi, esseri umani, sapremo adattarci.
E magari scopriremo che, in tutto questo, non è la tecnologia a fare la differenza, ma la nostra capacità di usarla per crescere insieme.