Quando l’Intelligenza Artificiale serve la guerra, la protesta che ha interrotto il compleanno di Microsoft

Il 50º anniversario di Microsoft avrebbe dovuto essere una celebrazione impeccabile, luci perfette, dirigenti sul palco, parole d’ordine come “futuro”, “innovazione” e “responsabilità”. Tutto secondo copione.
Fino a quando una voce ha deciso di uscire dal silenzio.
Si chiama Ibtihal Aboussad, è una dipendente dell’azienda, e ha interrotto l’evento con una protesta che non è passata inosservata.
Alzandosi in piedi di fronte al pubblico e ai vertici dell’azienda, ha accusato Microsoft di complicità nelle operazioni militari israeliane, portando all’attenzione un contratto da 133 milioni di dollari tra l’azienda e il Ministero della Difesa israeliano.
Secondo Aboussad, l’intelligenza artificiale sviluppata da Microsoft non si limita a potenziare software per ufficio o assistenti vocali. È coinvolta in tecnologie che supportano la sorveglianza militare e le operazioni di attacco nella Striscia di Gaza.
Ha parlato di una cultura aziendale che scoraggia apertamente il dissenso e oscura ogni voce critica all’interno dell’organizzazione. In altre parole: chi solleva dubbi viene isolato, o peggio, messo a tacere.
Le sue parole non sono un atto isolato, né un gesto impulsivo. Sono il sintomo di una tensione crescente all’interno del mondo tech, dove l’etica rincorre l’innovazione e spesso non la raggiunge mai.
La questione non riguarda solo Microsoft, ma l’intera filiera della tecnologia avanzata.
Chi controlla gli algoritmi? Chi ne decide le applicazioni?
E cosa succede quando queste tecnologie vengono vendute, spesso senza trasparenza, a governi o apparati militari?
La narrazione pubblica sull’intelligenza artificiale tende a mostrarla come neutra, disincarnata, al servizio del progresso. Ma ogni riga di codice ha delle implicazioni.
Ogni algoritmo è una scelta. E quando viene addestrato per riconoscere un volto da un drone o per ottimizzare una strategia d’attacco, la linea tra scienza e violenza si fa sottile.
Aboussad ha scoperchiato un nervo scoperto. La sua protesta non è stata solo un atto di coraggio personale, è un promemoria scomodo.
L’AI non è “intelligente” da sola.
È programmata, direzionata, inserita in sistemi di potere e controllo. E può diventare parte integrante di una macchina bellica tanto quanto lo è un’arma tradizionale.
In un’epoca in cui le aziende tech vestono i panni di demiurghi digitali, celebrare anniversari senza fare i conti con il lato oscuro dell’innovazione è un lusso che non possiamo più permetterci.